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Silk Road to Samarkand

10 - Silk Road to Samarkand

Al risveglio da una notte tranquilla, uscendo dalla mia “cella”, ho trovato un ospite che forse per sfuggire alla calura ha dormito sotto le stelle nel dastarkhan, il tradizionale tavolo basso uzbeko utile per mangiare, riposare, fumare il narghilè e conversare.
Stamani, rinunciando a cappuccino e cornetto, mi delizio con un’ottima colazione nel refettorio: latte, caffè, pasticcini e un po’ di frutta; quanto basta per tenermi in forma.

Sono preoccupato per la mia scarpa e per rimediare all’inconveniente mi serve la colla o un ciabattino. Il mio amico Bobirbek mi ha suggerito di provare a cercare qualcosa vicino alla porta est e mi sono avviato, attraversando ancora una volta da parte a parte la città vecchia.
Non ho trovato quello che cercavo ma almeno il grande caravanserraglio della città che apriva tra dieci minuti; già stanziava in attesa di visitarlo un nutrito gruppo di italiani accompagnati dal “cicerone” di un noto touroperator.
Certo valeva la pena entrare ma, a parte l’estensione e le sue molteplici cupole refrigeranti, direi che ha deluso le mie aspettative: era il bazar più grande e fornito di tutta la città e non mi sono soffermato più di tanto perché non nutro grande interesse per queste mercanzie.
Al contrario ho trovato lì vicino una botteguccia: ho comprato un caratteristico copricapo uzbeco per mio nipote e ho chiesto lumi sulla necessità della “scarpa”. Il venditore mi ha suggerito di tornare indietro verso il minareto e ….chiedere!
E’ quello che ho fatto e un cortese ragazzo mi ha indicato la giusta direzione da seguire.
Grande è stata la mia sorpresa quando invece di un negozietto ha trovato un ciabattino sotto il riparo di un ombrellone che fornito di tutte le attrezzature del mestiere era pronto a soddisfare i clienti e riparare qualsiasi tipo di scarpa, la mia compresa.

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Mi ci sono buttato a capofitto e il ciabattino si è presto messo all’opera per un’operazione che avrebbe richiesto qualche tempo soprattutto per l’asciugatura della colla. Pertanto, nell’attesa del risultato, gli ho riferito che sarei tornato da lui più tardi dopo aver visitato il complesso del mausoleo Sayid Alauddin, peraltro vicinissimo, sormontato dalla sua grande cupola turchese che svetta al cielo in virtù anche della sua punta realizzata in oro massiccio, da quanto mi risulta.

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Vi è composto Pahlavon Mahmud nato a Khiva nel 1247; umile pellicciaio, divenuto filosofo, intellettuale, uomo di scienza e divulgatore del Corano; dopo la morte nel 1326 fu elevato a “santo protettore” di Itchan-Cala e venerato soprattutto dalle donne.
Interessante ciò che inculcava nei suoi discepoli: “Leggete il Corano e seguitelo. Non siate estranei ad esso e sforzatevi di comprenderlo più profondamente. Non fate errori indulgendo nelle vostre speculazioni. Infine, non arricchitevi facendone un mezzo di esistenza”.

Già dal cortile di ingresso, al cui fondo si apre il la cappella più intima, si percepisce che l’antico e più vecchio manufatto di Khiva è qualcosa di straordinario e una volta varcata la soglia, rigorosamente a piedi scalzi, lo sfavillio delle maioliche della prima metà del XIV secolo che decorano tutta la sala, inclusa la bellissima cupola, sono la più eccelsa testimonianza dell’arte islamica ad opera del suo costruttore e ceramista Amir Kulal.

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11 - Silk Road to Samarkand

Nel frattempo la mia scarpa è stata riparata a dovere e il ciabattino era orgoglioso di mostrarmi la lavorazione accurata quando sono andato a ritirarla. Mi ha chiesto come compenso 15.000 som – somma irrisoria per i nostri standard – e così gli allungato il doppio, assieme ai miei complimenti.
Proprio lì vicino si trova la moschea Juma che devo dire non mi ha impressionato più di tanto o forse non sono stato molto attento a cogliere la particolarità di un luogo antico, permeato da una selva di colonne di legno intagliato ma non mantenuto in condizioni decorose visto che il pavimento era stato irrorato di acqua, forse per evitare che si levasse polvere dal calpestio dei visitatori.

La temperatura si è alzata di parecchio e mi sa che devo rintanare nel mio fresco rifugio aspettando il pomeriggio inoltrato per fare qualche altra incursione.
Così, con una condizione termica più accettabile, sono andato alla ricerca di qualche aspetto particolare della città vecchia e fidandomi del mio intuito ho trovato un contesto particolare: una donna intenta, suppongo da tempo, a spolverare a suon di vigorose bastonate due grossi materassi di lana sui quali, penso, avevano riposato all’aperto e sul dastarkhan, nelle calde notti d’estate. Ero quasi pronto a intervenire per darle una mano ma questa volta mi sono arreso, più per non importunarla che per altro.

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Intanto, sotto il minareto Minor un gruppetto di musicisti in abbigliamento tradizionale ha quasi terminato una esibizione e fortunatamente sono riuscito a scattare almeno una foto ricordo.
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Uscendo dalla porta storica mi sono poi avviato lungo le mura per raggiungere Bogcha Darvoza, la porta del nord: la caratteristica è quella di essere uguale alle altre ma di fronte si estende la moderna città di Khiva, trafficata.

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Sta quasi facendo buio e per attraversare un parco esteso, dove non ho notato neanche una panchina per fermarmi a meditare, ho impiegato il tempo necessario per far scendere la sera e andare a cenare nel mio ristorante di fiducia.
Poi, assolta la necessità, un ultimo scatto fotografico by night a Itchan-Kala che mi ha tanto gratificato con il suo fascino accattivante e il suo silenzio antico e irreale.​

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Domani è un altro giorno…e Bukhara mi attende!

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12 - Silk Road to Samarkand

Bukhara, considerata la città-gioiello dell’Uzbekistan, benché meno famosa di Samarcanda nell’immaginario di noi occidentali, con i suoi molteplici edifici di enorme pregio architettonico e culturale, è un museo a cielo aperto inserito nella lista dei Patrimoni Mondiali dell’Umanità dell’UNESCO.
D’altronde, un proverbio locale recita: Samarcanda è la meraviglia della terra, ma Bukhara è la meraviglia dello spirito.

Verificheremo se risponde a verità!

Il mio treno parte da Khiva alle due di pomeriggio e giunge in quella città alle nove di sera, con parecchie ore di tragitto quindi e piuttosto tardi.
Ho un biglietto con sistemazione coupe in una carrozza con aria condizionata e quattro sedute che fungono da letto per riposare o dormire perché la rotta attraversa nella notte tutto l’Uzbekistan, facendo tappa a Taskent, e termina nella lontanissima Andijon, ai confini con il Kirgzstan.
Devo quindi attendere che si avvicini l’ora della partenza e dopo un’abbondante colazione e la pendenza del check-out sono pronto a cercare qualcosa di meglio di starmene senza far nulla.

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Allora, dato che mi manca una “porta”, andiamo a dare uno sguardo alla porta sud di Itchan-Kala: Tosh Darvoza.
La trovo assolata e deserta attraverso la quale, pur presidiata da un gendarme, non transita quasi nessuno.

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Da un negozietto alimentare prendo un pò di provviste, poi mi ributto a “cercare” e cercando qua e là, nei pressi di un caffè/oasi vicino a minareto minore trovo Michele.
Sembra che sia lì proprio ad attendermi ed è un cammello paziente pronto a traghettarmi a Bukhara.
Gli faccio presente che ho il treno e lui di rimando mi risponde che non è la stessa cosa venir cammellato da qualcosa in carne e ossa, al posto di una latta di ferro con le ruote. Nella sua aria bonaria e rispettosa insiste ma purtroppo ho i miei tempi di viaggio da assecondare.
Solo a questo punto si convince che per lui è dura, ma almeno mi propone di salire in groppa per guadagnare il suo pasto quotidiano mentre qualcuno, al pari di un set cinematografico, mi scatterà qualche fotografia che emuli Lawrence d'Arabia .
Bè, insomma, non posso che appagarlo e con una scala traballante cerco di sistemarmi fra le sue gobbe a attendere il risultato fotografico della mia esibizione.

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Ma scendere si è rivelata quasi una impresa perchè, non più dotato della mia baldanza atletica di un tempo, la mia gamba destra non riusciva più a scavalcare una delle gobbe del destriero.
Una scena esilarante e una delle prove più difficili che ho dovuto sostenere nella mia vita che si è conclusa felicemente grazie al samaritano proprietario di Michele, mentre qualche persona del luogo era subito prodigo a farmi bere un sorso di aranciata per stemperare la scansata paura di essere disarcionato.
Michele guardava imperterrito ma almeno la sua razione quotidiana se l’era guadagnata!

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13 - Silk Road to Samarkand

Non posso attendere l’ora della partenza sotto il caldo sole e quindi, dopo aver salutato il mio amico Bobirbek, lascio la residenza facendomi accompagnare da un tassista, così almeno potrò starmene al fresco nella elegante seppur piccola stazione di Khiva.

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Sono abbastanza in anticipo e all’ingresso i poliziotti di servizio non mi hanno degnato nemmeno di uno sguardo, impegnati com’erano a trastullarsi con i cellulari, e il controllo bagagli inesistente.
La stazione è abbastanza carina e pulita mentre quello che più mi ha colpito è l’ambiente destinato ai più piccoli che potevano divertirsi a piacimento attendendo la partenza.

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Man mano che il tempo passa giungono sempre più viaggiatori e qualche coppia di italiani mentre il treno sonnecchia in attesa sul primo binario.
Ho evitato la ressa dell’abbordaggio chiedendo al controllore se potevo andar fuori a fumare una sigaretta, oltre a controllare dove fosse posizionata la mia carrozza 5: era l’ultima del convoglio.
All’annuncio della partenza, tutti a bordo e la mia cabina con letti ha accolto presto gli altri passeggeri: una giovane coppia di inglesi e un’altra non più giovane di italiani, con posti spaiati.
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Per nessuna ragione la signora sarebbe salita al letto superiore e così le ho fatto posto sul mio pian terreno; meno male che fosse di bassa statura, ma alle donne si deve concedere sempre tutto…o quasi. Il compagno, invece, sull’attico.
Una piacevole combriccola comunque perché la signora poteva interloquire con gli inglesi e con me mentre di tanto in tanto si affacciava dal secondo piano il compagno che sembrava dormisse ma ascoltava. E poi l’intermezzo divertente del vivandiere che voleva venderci birra e…vodka: abbiamo preferito la birra, anche se non Peroni, ma a un prezzo stracciato rispetto a quello richiesto.
Tuttavia, non era certo di conforto, in questo lungo itinerario, il solo svago del deserto che si vedeva dal finestrino, almeno fino a quando si è fatta sera e la voglia di scendere e diventata impellente.

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Quasi d’un tratto si è materializzata la stazione di Buxoro e moltissimi sono scesi al pari di molti altri che avrebbero trascorso la notte a bordo.
Avevo concordato con Bobirbek di farmi venire a prendere e una volta fuori si è presentato un tassista che, in verità, non sono riuscito a capire se fosse quello che mi attendeva. Tuttavia bisognava percorre ben tredici chilometri per raggiungere il centro e quindi, costi quel che costi, non avevo tempo da perdere perché oltre alla sistemazione in albergo dovevo anche cenare.

Perché i tassisti appena si accorgono di avere un italiano a bordo subito smanettano sulla radio e ti fanno ascoltare “L’italiano” di Toto Cotugno?
E’ forse una forma di benvenuto e di apprezzamento per noi latini giunti da lontano? Chissà!

Al check-in ho pagato solo trentasei euro per tre notti; pochissimo, ma subito si è manifestato il rovescio della medaglia perché le attrezzature della stanza non erano il massimo e ho detto a chi mi accompagnava di porvi rimedio.
Tuttavia, avevo scelto l’hotel anche in virtù del fatto che a qualche decina di metri c’era il ristorante Bella Italia, che, considerato l’arrivo in città a tarda ora, si prestava benissimo alla bisogna.

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Il ristorante era gremito e le tavolate erano stracolme di vivande e bibite fine all'inverosimile, mentre un maxi schermo quasi cinematografico diffondeva musica di artisti nazionali per la gioia dei commensali.
Non mi sono fidato affatto del menù di pietanze italiane ma per far contenta la mia pancia ho reputato che fosse più opportuno rimediare almeno con spiedini di carne e birra Sarbast.

continua…
 
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